A volte siamo così concentrati nel nostro quotidiano che sfugge il senso delle cose che ci sono intorno. Poi arrivano delle letture che invitano a fermarsi un attimo, e citando l’attualissimo Zerocalcare di “Strappare lungo i bordi”, ci ricordano che “siamo un filo d’erba di un prato sterminato”.
Cento anni fa lo stesso concetto è stato espresso dal premio Nobel per la letteratura Grazia Deledda, riferendosi all’umanità come “canne al vento”.
Quando Carlo Rovelli ha scritto “Sette brevi lezioni di fisica” pensava principalmente alla funzione divulgativa della sua breve opera, ma per strade diverse giunge alle stesse riflessioni che l’Arte ha la magia di esprimere in forma pittorica, cinematografica, o letteraria.
Lo studioso offre al lettore le lenti dei più avanzati microscopi serviti alla Scienza per addentrarsi nell’infinitamente piccolo come gli atomi, i quanti e le relazioni che intercorrono tra loro. Dopodiché lo porta a bordo delle rivoluzionarie teorie che spiegano l’infinitamente grande, ovvero l’Universo con la sua evoluzione e le regole che lo governano.
Con un linguaggio semplice l’autore spiega le due gemme del pensiero scientifico che hanno segnato il Novecento: la meccanica quantistica e la teoria della relatività. Rovelli ne indaga le apparenti contraddizioni e poi illustra il tentativo di sintesi fornito dalla Meccanica quantistica a loop. Ma ciò che più affascina del libro è la dimostrazione di come le teorie di Einstein, Heinsenberg, Bohr, solo per citarne alcuni, siano state fondamentali per la comprensione dei fenomeni che governano le particelle elementari, il concetto di spazio tempo, o indagare gli estremi angoli dell’Universo popolati dai misteriosi Buchi neri.
Il libro si chiude con un capitolo dedicato all’Uomo, quel filo d’erba di un prato sterminato che trova la sua essenza nella Natura di cui è parte e che esplora attraverso un affascinante processo di conoscenza in continuo divenire.