Recensione di La casa delle voci, di Donato Carrisi

Copertina del romanzo La casa delle voci, di Donato Carrisi

Sono passati quarant’anni dalla introduzione della legge Basaglia, che sancì la chiusura dei manicomi e introdusse un nuovo approccio alla cura del malato psichiatrico. Una rivoluzione che permise il passaggio da una fase custodialistica a una di presa in carico del paziente nella sua globalità.  

Sullo sfondo della città di Firenze, Donato Carrisi dà vita a un thriller psicologico che affonda le radici della storia in un’epoca ormai passata con un’ imprevedibile evoluzione nel presente. Uno psicologo infantile. Una giovane donna venuta da oltreoceano. La cognizione che “per un bambino la famiglia è il posto più sicuro della terra. Oppure, il più pericoloso.”.  

Carrisi intreccia con destrezza i fili del romanzo giallo e quello del romanzo psicologico raccontando una storia cupa e sofferta, avvincente e liberatoria. Lo scrittore attinge alle sue conoscenze in diritto e criminologia per svelare pagina dopo pagina i processi mentali dei protagonisti e raccontare l’evoluzione della loro storia. Fino a un epilogo inaspettato e carico di suspanse.