È successo a tutti guardando un film o leggendo un romanzo di empatizzare con il protagonista e sperare fino all’ultimo che una storia dal tragico epilogo, per una volta, anche una sola e unica volta, abbia un finale diverso.
La lettura de L’agenda rossa di Paolo Borsellino, pubblicato da Chiare Lettere, genera esattamente queste emozioni, con la differenza che, purtroppo, non si tratta di narrazione.
Se il vuoto che genera la scomparsa di un personaggio letterario può essere lenito dalla consapevolezza che egli è frutto di immaginazione, la perdita di un eroe reale della società civile no, non può mai trovare sollievo.
56 giorni separano l’uccisione di Giovanni Falcone da quella di Paolo Borsellino e delle loro scorte.
56 giorni nei quali Borsellino presentiva quello che stava per succedergli e ciononostante portava avanti con tenacia il lavoro per individuare chi si celava dietro l’attentato mafioso a Falcone. Tra mille difficoltà, scarse protezioni, sovraesposizione mediatica, dichiarazioni di comodo.
E annotava tutto sulla sua agenda rossa, giorno per giorno, gli incontri, le piste investigative, le indicibili collusioni su cui nasceva la seconda repubblica.
Il 19 luglio 1992, giorno dell’attentato in via D’Amelio, dalla borsa di Paolo Borsellino recuperata dalle forze dell’ordine tra le macerie della sua auto sparì proprio la sua agenda rossa, e con essa la probabile spiegazione dei tanti misteri che avvolgono ancora oggi il Belpaese.
Il libro ricostruisce scrupolosamente gli ultimi giorni di Paolo Borsellino attraverso le testimonianze delle persone con cui il magistrato era entrato in contatto, accendendo una luce nel buio fitto della morte di uno dei simboli della storia recente d’Italia.