Recensione Il fuoco invisibile, di Daniele Rielli

Copertina Il fuoco invisibile, di Daniele Rielli

La prima cosa che accoglie lo sguardo di chi arriva in Puglia viaggiando in treno o in macchina è una tavolozza di colori unici esaltati da un sole caldo, potente e luminoso.

È un dipinto impressionista di mare brillante, cielo azzurro intenso, città inframmezzate da lunghe distese di coltivazioni dalla terra rossa ricca di minerali e una vegetazione di vigneti e uliveti. Un mare di uliveti, quasi come una prosecuzione di quel meraviglioso mare blu che lambisce le coste di una delle più belle regioni d’Italia.

Da più di dieci anni questo paesaggio, e soprattutto un’economia territoriale che fa della Puglia il primo produttore di olio di oliva del Paese, è assediato dalla più grave emergenza fitosanitaria al mondo: l’epidemia da Xylella Fastidiosa. Un batterio che provoca l’inesorabile morte per disseccamento dell’albero di ulivo infetto.

La Xylella è arrivata in Salento, nella zona di Gallipoli, nel 2010 attraverso l’importazione di una pianta ornamentale infetta proveniente dal Costa Rica. Da Gallipoli si è diffusa in tutta la provincia di Lecce e Brindisi, fin quasi a Bari, lasciando al posto di migliaia di ulivi dei tetri scheletri grigi.

Proseguendo il viaggio dal nord verso il sud della Puglia l’impatto visivo è veramente impressionante e nel silenzio attonito dell’osservatore l’unica domanda è come sia stato possibile che questo disastro sia avvenuto.

Il fuoco invisibile” di Daniele Rielli è un resoconto dettagliato e amaro di una tragedia che si sarebbe potuta evitare.

Un’epidemia che ha colto impreparato un intero territorio, amplificata dall’inerzia delle istituzioni regionali e nazionali, da prese di posizione sorde davanti all’evidenze della comunità scientifica, da scivoloni, anche in buona fede, da parte di persone al di sopra di ogni sospetto e, infine, dal negazionismo alimentato dal vento incendiario dei social network.

Vi ricorda qualcosa? A me sì.

Quello che ho imparato negli anni del Covid, e confermato dalla lettura de “Il fuoco invisibile”, è che di fronte a un evento inaspettato e di difficile codificazione gli approcci al problema da parte delle persone, anche di coloro che riteniamo conoscere meglio, saranno statisticamente i più disparati. Essi dipendono da un insieme di fattori, tra questi la cultura, le conoscenze a disposizione, la forma mentis e, quando sono coinvolte le istituzioni, anche dagli interessi in gioco.

“Per curare gli alberi infetti bastano i prodotti biologici”, avevano subito affermato, senza alcuna evidenza scientifica, coloro che si opponevano agli espianti degli alberi ordinati per il contenimento del batterio.
“Il Covid non esiste” dichiarano ancora i negazionisti e gli oppositori dei vaccini e dei lockdown, gli unici rimedi grazie ai quali dopo tre anni è stato possibile uscire dalla pandemia.
Assecondati, in entrambi i casi, da chi  tergiversava su misure drastiche ed efficaci pena la perdita di consenso elettorale o l’appoggio di intere categorie imprenditoriali.

Rispetto alla pandemia del Covid, la vicenda Xylella ha però una complicazione in più: l’ingrediente culturale, identitario, di un territorio simbioticamente legato alla monocoltura dell’ulivo che, per non avere applicato immediatamente le misure drastiche suggerite dalla comunità scientifica ai focolai inizialmente circoscritti solo nel leccese, oggi si ritrova un problema endemico e fuori controllo. Nonostante fin da quasi subito gli eccellenti ricercatori del CNR regionale avessero indagato la cause del disseccamento delle piante e individuato il batterio responsabile. D’altra parte, come potevano gli agricoltori accettare di buon grado gli espianti degli alberi senza neanche avere garanzie sulle compensazioni che arriveranno poche e solo dopo due anni dai primi tagli?

Ancora una volta, anche da questa vicenda ne escono sconfitti la buona politica e il pensiero pragmatico, scientifico, che superando i particolarismi, i sentito dire, i negazionismi interessati, dovrebbero essere gli unici fari a illuminare il cammino della società.