Recensione Il giorno in cui siamo morti, di Maria Eugenia Veneri

Copertina del romanzo Il giorno in cui siamo morti, di Maria Eugenia Veneri

Quel luogo che per molti di noi è simbolo di maestosa bellezza e serenità, per migliaia di persone molto meno fortunate rappresenta, invece, l’ultimo e periglioso ostacolo prima della salvezza o della fine.

Il Mediterraneo, che per secoli è stato ponte tra i popoli, oggi si è trasformato in una barriera che separa la speranza dalla condanna certa.

Il Mare Nostrum è diventato, infatti, il teatro di una crisi umanitaria permanente a cui in Europa, per negligenza o calcolo, non si è riusciti a trovare una soluzione condivisa trasformando la gestione della migrazione in una delle principali leve di costruzione del consenso politico.

È questo il difficile contesto nel quale lavorano gli operatori umanitari nel quotidiano tentativo di strappare alla morte le vittime del traffico di esseri umani e nel quale è ambientato Il giorno in cui siamo morti, di Maria Eugenia Veneri.

Nel suo bel romanzo, l’autrice intreccia le vicende dei protagonisti, Emma ed Edgard, in missione nell’isola di Agarab e uno dei luoghi di approdo di questa umanità disperata, con una spy story all’interno del palazzo dell’ONU dove vengono prese le decisioni che possono cambiare il corso degli eventi.