Quanto li amavo! Tutto, avrei dato tutto per loro, e lo stavo dando. Sveglia all’alba per assicurare l’unica entrata in famiglia e pagare l’affitto di una casa angusta ma confortevole. Glielo dovevo, tanto era l’amore per i miei genitori. E per mia sorella. Avrei dato il mondo per lei e per farla studiare al conservatorio. Non importava la retta, l’idea che diventasse una musicista superava ogni sacrificio.
E poi quella mattina. Dio, che incubo. Aprire gli occhi, vedere offuscato, non riuscire a muovermi nel letto, scorgere delle piccole zampette all’estremità del mio corpo, un unico addome nero, increspato di rughe e impossibile da spostare.
Ci avevo provato con tutte le mie energie ad attraversare la stanza cercando di capire chi ero, che cosa ero, mentre i miei mi chiamavano ripetutamente allarmati dal mio ritardo al lavoro. Infine ero riuscito ad aprire la porta chiusa a chiave comparendo davanti agli occhi terrorizzati della mia famiglia nella mia scabrosa figura.
Imprigionato nel nuovo corpo, nel tempo avevo raccolto un briciolo di compassione. Evitavo di mostrarmi ai loro occhi per non provocare disgusto, e mia sorella mi sfamava con qualche avanzo buttato lì nella mia stanza diventata pian piano un magazzino nel quale nascondermi al mondo. Potevo almeno ancora vivere. Lo speravo.