Recensione di A volte ritorno, di John Niven

Copertina di A volte ritorno, di John Niven

 

Ho impiegato un po’ per leggere “A volte ritorno” di John Niven.
Tra lavoro e, soprattutto, trasloco, le ultime settimane sono state un piacevole casino.

Ad una lettura lenta dettata da cause di forza maggiore, però, si è unita anche la piacevolezza di un libro da centellinare perché scritto con la maestria di uno chef moderno e stravagante che unisce ingredienti eterogenei per creare una gustosissima opera letteraria.

Nella mia rosa di scrittori pirotecnici e stralunati costituita da Kurt Vonnegut, Stefano Benni, Daniel Pennac e Douglas Adams è entrato a pieno merito anche John Niven. Con la differenza che questo è proprio fulminato e fa ridere di brutto.

In un Paradiso abitato da Gesù che passa il tempo a suonare la chitarra e fumare canne in compagnia di Jimi Hendrix, Dio, furibondo per la degenerazione della Terra, decide di rispedire il figlio tra gli uomini per ricordargli l’insegnamento che aveva dato: fare i bravi.

A Gesù tocca di nuovo tornare tra gli umani e tra compagni di viaggio freak e situazioni surreali, come l’esilarante partecipazione a un talent tv dove suona la chitarra..da Dio, fa arrivare il suo messaggio a milioni di persone in modo franco e diretto.

Gesù non le manda a dire e con un linguaggio schietto e disincantato demolisce le impalcature di menzogne politiche, economiche e religiose dell’uomo.

Perché, ci vuole dire, non c’è bisogno della violenza, della religione, dell’autorità statuale, del dominio dell’uomo sull’uomo, ma per fare andare bene il Mondo basta, in fondo, solo fare i bravi.