Recensione di L’Avversario, di Emmanuele Carrère

L'avversario
L’Avversario – Emmanuel Carrère

Il mio incontro con l’opera di Emmanuel Carrère è avvenuto a causa di un simpatico errore. Mi ero recato in libreria per acquistare un mattone russo dal titolo “Oblomov” di cui avevo sentito parlare ma non ne conoscevo l’autore e, scorgendo un libro dal titolo vagamente somigliante, “Limonov” , di tale Carrère, me ne tornai a casa soddisfatto dell’acquisto. Salvo rendermi conto solo dopo che avevo preso lucciole per lanterne.

Direte voi, ma sfogliarlo un poco prima di comprarlo? Sbirciare la quarta di copertina? Certo che no, troppo alto il rischio di conoscere inavvertitamente la trama!

È stato così, quindi, che mi sono avvicinato alla bellissima scrittura di Carrère e dopo Limonov e il recente Yoga, di cui avevo parlato qualche tempo fa, è stata la volta de L’avversario, uno dei suoi libri di maggiore successo.

Che libro, ragazzi! L’incontro perfetto tra una storia tanto assurda quanto, purtroppo, reale e la capacità narrativa di un grande scrittore.

L’avversario è la storia di una tragedia immane, un uomo dalla doppia identità – Jean Claude Romand – che dopo una vita di bugie, millantato anche alle persone più care un titolo di studio universitario e una professione prestigiosa e avere dilapidato le ingenti somme di denaro che gli erano state affidate, sentendosi ormai braccato dall’inevitabile scoperta, decide di sterminare la propria famiglia.

Il caso, avvenuto in Francia nel 1993, suscitò un grandissimo scalpore e interessò Carrère al punto da contattare Romand per raccontare la sua storia e il processo.

A Carrère interessava approfondire l’uomo sullo sfondo del fatto di cronaca, conoscere la genesi della sua deriva esistenziale, descrivere le sue relazioni con le persone intorno a lui degradate a spettatori inconsapevoli di una tragica farsa.

Non c’è ombra di morbosità in questo libro, solo il desiderio di capire, e questa è una sua grande qualità.

Secondo lo psichiatra che delineò il profilo di Jean-Claude Romand, egli era una persona di un’intelligenza e di una acutezza tale che, senza alcuna ironia, avrebbe potuto essere un buon psichiatra. Il che lascia ancora più interdetti. Il celebre epitaffio sulla tomba di Kant recita “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. 

L’intelligenza ha dentro di sé l’etica e la morale? Il caso di Jean-Claude Romand confermerebbe di no e Carrère lo illustra con grande maestria.