Quel luogo che per molti di noi è simbolo di maestosa bellezza e serenità, per migliaia di persone molto meno fortunate rappresenta, invece, l’ultimo e periglioso ostacolo prima della salvezza o della fine.
Il Mediterraneo, che per secoli è stato ponte tra i popoli, oggi si è trasformato in una barriera che separa la speranza dalla condanna certa.
Il Mare Nostrum è diventato, infatti, il teatro di una crisi umanitaria permanente a cui in Europa, per negligenza o calcolo, non si è riusciti a trovare una soluzione condivisa trasformando la gestione della migrazione in una delle principali leve di costruzione del consenso politico.
È questo il difficile contesto nel quale lavorano gli operatori umanitari nel quotidiano tentativo di strappare alla morte le vittime del traffico di esseri umani e nel quale è ambientato Il giorno in cui siamo morti, di Maria Eugenia Veneri.
Nel suo bel romanzo, l’autrice intreccia le vicende dei protagonisti, Emma ed Edgard, in missione nell’isola di Agarab e uno dei luoghi di approdo di questa umanità disperata, con una spy story all’interno del palazzo dell’ONU dove vengono prese le decisioni che possono cambiare il corso degli eventi.