Recensione di La città dei vivi, di Nicola Lagioia

Copertina di La città dei vivi

Ci sono casi in cui è difficile stabilire quanto l’assunzione di droga funga da alibi o agisca da detonatore di un fatto di cronaca nera.

Nel vano tentativo di trovare una spiegazione all’inspiegabile, si formulano ipotesi, si scava nel passato, si ascolta il fragoroso silenzio dell’assenza.

Sulle orme magistrali di “A sangue freddo” di Capote, Nicola Lagioia firma con “La città dei vivi” un romanzo inchiesta su uno dei più feroci episodi di cronaca degli ultimi anni: l’assassinio avvenuto a Roma nel 2016 di un giovane ragazzo di borgata, Luca Varani, compiuto da due benestanti trentenni, Manuel Foffo e Marco Prato.

Provenienti entrambi da famiglie agiate, figlio di un affermato imprenditore l’uno, e di un noto consulente culturale l’altro, quelli che diventeranno gli assassini di Luca Varani, condividevano un’esistenza interiore travagliata che trovava sfogo in una corsa all’autodistruzione pervasa di droga, prostituzione e ricerca dell’eccesso.

Qui si insinua la figura di Luca Varani, giovane apprendista meccanico che non disdegnava  vendere il suo corpo in cambio di denaro e che dei due balordi diventerà la vittima sacrificale.
In una scala di gravità, se è concesso dirlo, di un delitto orrendo come l’omicidio, quello che lascia attoniti è quando si è in assenza di un vero movente. Constatarne la sua gratuità.

La vicenda ricostruita da Nicola Lagioia ne “La città dei vivi” è probabilmente uno di questi casi: un delitto di una crudeltà inaudita che si consuma prima di tutto nella mente malata degli autori.

Nella narrazione Nicola Lagioia descrive anche il contesto in cui questo dramma è maturato, quello di una città, Roma, che stenta a sollevarsi dalle sue macerie.
Come Stephen King ambienta il racconto horror di “It” nelle fogne di Derry, metafora del male che pervade la città , così ne “La città dei vivi”, un racconto horror reale, veniamo trasportati nelle viscere di un’altra città, quella che lo scrittore definisce “La città dei morti”.

 
La miseria e l’angoscia che emergono dalla lettura sono tali che bisogna aggrapparsi saldamente con le mani al libro per non essere inghiottiti dalla melma in cui sprofondano le pagine.
Al termine della lettura, avvincente e allo stesso lacerante, resta un senso di vuoto cupo e di compassione per le vittime di questa drammatica storia.