Recensione Uomini e topi, di John Steinbeck

Copertina del romanzo Uomini e topi, di John Steinbeck

Dopo l’incontro folgorante di alcuni anni fa con “Furore”, è stato merito del Bookstagram il mio riavvicinamento alla lettura di John Steinbeck e al suo altrettanto celebre romanzo, “Uomini e topi”.

Ancora una volta, nell’opera di Steinbeck è ritratto il volto dell’America degli anni ’30, quella che aveva conosciuto la Grande Depressione e veniva attraversata da costa a costa da un’umanità derelitta che non aveva altro su cui contare se non sulle proprie braccia in cambio di sudore e sfruttamento.

È un mondo di costante precarietà, di vittime e carnefici, in cui la facoltà di garantire un tozzo di pane sancisce il diritto alla prevaricazione sul più debole.

È un mondo di affollate solitudini, permeate dalla speranza di riuscire un giorno a tirarsi fuori dalle sabbie mobili della propria esistenza e trascorrere serenamente il resto dei giorni.

È un mondo in cui, nonostante tutto, sgorga la fonte della pietas a dissetare il deserto del mondo circostante.

In poco più di centotrenta pagine, Steinbeck condensa un racconto di grande profondità che per certi aspetti, anche se consapevole della forzatura, mi ha ricordato Il miglio verde di Stephen King.

Un romanzo da leggere, quindi, che fa conoscere la forza della grande letteratura americana.

“𝗙𝗮𝗰𝗰𝗶𝗮𝗺𝗼𝗹𝗼 𝗮𝗱𝗲𝘀𝘀𝗼” 𝘀𝘂𝗽𝗽𝗹𝗶𝗰𝗼̀ 𝗟𝗲𝗻𝗻𝗶𝗲 “𝗣𝗿𝗲𝗻𝗱𝗶𝗮𝗺𝗼𝗹𝗼 𝗮𝗱𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗾𝘂𝗲𝗹 𝗽𝗼𝘀𝘁𝗼”.

“𝗖𝗲𝗿𝘁𝗼, 𝘀𝘂𝗯𝗶𝘁𝗼…𝗗𝗲𝘃𝗼 𝗳𝗮𝗿𝗹𝗼 𝗶𝗼. 𝗟𝗼 𝗳𝗮𝗰𝗰𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗶𝗻𝘀𝗶𝗲𝗺𝗲”.