Recensione di Yoga, di Emmanuel Carrère

Una riflessione sulla propria esistenza attraverso il filo conduttore della meditazione, compagna di viaggio di Emmanuel Carrère nel turbinìo della sua vita di scrittore e, soprattutto, di uomo.

L’ultima opera di Carrère prende spunto dal suo rapporto con questa pratica millenaria, e poi si spinge oltre a riannodare i fili di un’esistenza segnata negli ultimi anni da eventi felici o dolorosissimi, come la depressione nei cui abissi è sprofondato a lungo per poi riemergerne.

Yoga è il racconto del percorso biografico dello scrittore, difficile, tortuoso, a momenti tragico, lenito dalla meditazione nel tentativo di placare le vritti, onde incessanti di pensiero che allontanano l’individuo dalla tranquillità.

Allo stesso tempo, il libro di Carrère è il racconto di sé, della propria vita interiore, della uscita dal buio della precarietà emotiva anche grazie alla scrittura e all’Arte.

Potenza dell’Arte evocata nelle memorabili pagine dedicate alla pianista Martha Argerich il cui sorriso che affiora sul volto durante l’esecuzione dell’Eroica di Chopin rende visibilmente tangibile il concetto di Serenità e Completezza, traguardo ultimo della Meditazione.

“Lo scopo dell’arte non è procurare una momentanea scarica di adrenalina ma la costruzione paziente, che dura tutta la vita, di uno stato di meraviglia e di serenità” scrive Carrère, citando la frase del pianista Glenn Gould.

Carrère è umano, intensamente umano, e Yoga è questo, un tassello di pregevole foggia per la costruzione paziente, che dura tutta la vita, di uno stato, per quanto possibile, di meraviglia e di serenità.