È un interessantissimo pamphlet quello scritto dal giornalista Alberto Mattioli, e appena pubblicato da Chiare Lettere, dal titolo 𝗗𝗲𝘀𝘁𝗿𝗮 𝗺𝗮𝗹𝗱𝗲𝘀𝘁𝗿𝗮. 𝗟𝗮 𝘀𝗽𝗼𝗹𝗶𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗰𝘂𝗹𝘁𝘂𝗿𝗮𝗹𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗴𝗼𝘃𝗲𝗿𝗻𝗼 𝗠𝗲𝗹𝗼𝗻𝗶.
Ad un anno e mezzo dall’insediamento del primo governo di destra post fascista (ma non diciamolo troppo in giro) dal 1947, e con sessant’anni di tempo per elaborare il lutto della sconfitta storica oltre che politica dei loro progenitori, ci si sarebbe potuti aspettare chissà quali grandi novità anche culturali dal partito che mantiene pervicacemente nel simbolo la fiammella (fuoco fatuo?) che esce dalla bara del duce. E invece l’elefante ha partorito il topolino.
Dopo il Decreto Rave di cui tutti sentivano l’urgenza, l’unica preoccupazione dell’esecutivo de Il Presidente Giorgia Meloni è stata di piazzare una corte dei miracoli di individui anche nelle principali poltrone culturali di questo Paese.
Tra questi, Gennaro Sangiuliano, il Ministro della Cultura che la sera della finale del Premio Strega 2023 disse, nell’incredulità generale, di non avere letto i romanzi che egli stesso era chiamato a votare, guadagnando una magnifica sbertucciata dalla caustica presentatrice Geppi Cucciari.
Abbiamo poi Vittorio Sgarbi, ex sottosegretario alla Cultura dopo l’inchiesta di Report su un’oscura vicenda di un’opera d’arte del Seicento che risulta rubata, e nel frattempo artefatta, per la quale è tutt’ora indagato.
Si passa per Geronimo La Russa, figlio di cotanto Ignazio, avvocato e presidente dell’automobile club di Milano, uniche credenziali, evidentemente in assenza di altre, per sbarcare nel consiglio direttivo del Teatro alla Scala.
Si vola alto con Beatrice Venezi, direttrice d’orchestra salita alla ribalta nazionale più per le sue continue dichiarazioni di supporto a Giorgia e i suoi Fratelli che per i modesti, a detta degli esperti, meriti artistici.
Nella disamina con stile sagace e ironico di questi e altri dimenticabili episodi, Alberto Mattioli pone una domanda drammaticamente seria: quali sono gli spazi per la cultura in una parte politica che sul populismo ha costruito le sue fortune?
Il punto dirimente è proprio questo, perché, e qui c’è poco da ridere, il destinatario delle cosiddette politiche culturali di un esecutivo composto da famigli e amici degli amici è, alla fine di tutto, una impotente collettività.