“Il cielo oltre le polveri” di Valentina Petrini è un libro necessario e doloroso. Necessario perché ricostruisce con rigore il più vergognoso scandalo industriale italiano: l’ex Ilva di Taranto, il maggiore polo siderurgico d’Europa.
Doloroso perché fa conoscere da vicino l’atroce calvario delle vittime dello stabilimento industriale che da decenni antepone un meschino ricatto occupazionale alla salute dei cittadini e alla sicurezza dei lavoratori.
Un punto fermo nella annosa vicenda dell’ex Ilva è stato segnato nel 2012 dalla clamorosa inchiesta Ambiente Svenduto. Dopo anni di denunce sui danni ambientali e alla salute della popolazione tarantina, il processo si è concluso nel 2021 con la condanna in primo grado di giudizio degli ex proprietari, la famiglia di industriali Riva, e degli altri imputati per disastro ambientale. Una svolta a cui però fa da contrappeso l’importanza di un sito dichiarato di interesse strategico nazionale la cui esistenza, pertanto, non è messa in discussione.
Conosco bene l’ex Ilva. Ci sono passato decine e decine di volte quando dalla mia città in Salento mi recavo con la mia famiglia dai parenti in Calabria.
Con l’auto si percorre la statale 106 jonica che costeggia la città di Taranto e passa a pochi metri dall’industria.
Dalla strada, si vedono a centinaia di metri di distanza le ciminiere che si conficcano nel cielo esalando fumi densi e nauseabondi. Ma ciò che più balza all’occhio, oltre al gigantesco dedalo di impianti dall’aspetto sinistro, è il colore del cielo. Rosso fuoco, ustionato, incendiato. Un cielo violentato dalla mano dell’uomo. In cambio di cosa? Quando negli anni Sessanta è stata avviata la costruzione dell’allora Italsider, si parlava di modernizzazione del Mezzogiorno, sviluppo economico, creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro. Sono più di diecimila gli operai che vi lavorano, a cui si sommano le 145 imprese dell’indotto, per un fatturato che oggi arriva a 3,3 miliardi di euro. Nonostante gli allarmi sollevati già all’epoca, l’imperativo economico fece sorvolare sull’inopportunità di costruire il centro siderurgico a ridosso della città, esponendola per decenni ai letali mix di diossina, pm10 e metalli pesanti vomitati ininterrottamente dagli altoforni. A cui si aggiunse la scellerata decisione di costruire i quartieri Tamburi e Paolo VI in prossimità dell’industria, condannando intere generazioni ad un aumento esponenziale di tumori e morti correlate all’inquinamento.
Allo stesso tempo sono stati tanti gli occhi chiusi sulle condizioni lavorative all’interno dell’ex Ilva che hanno causato incidenti mortali che dovevano essere evitati, come l’atroce scomparsa di Alessandro Morricella, ucciso a 35 anni da una fiammata di ghisa mentre registrava manualmente la temperatura del metallo fuso o quella di Francesco Zaccaria, travolto da un tornado a 35 metri di altezza nella cabina in cui lavorava e disperso in mare. Le successive indagini appurarono che la cabina su cui era salito non era dotata degli opportuni dispositivi di bloccaggio in caso di emergenza atmosferica.
“Il cielo oltre le polveri” genera un misto di disillusione e rabbia. Perché, nonostante i processi, le dichiarazioni politiche, i palliativi, i progetti di lungo termine, è evidente che la ragione economica ha prevalso sul fondamentale diritto alla salute che altro non è che il diritto alla vita. Uno studio dell’OMS commissionato nel 2019 dalla Regione Puglia stima che negli ultimi dieci anni solo nell’area a ridosso del siderurgico ci sono state tra le 270 e le 470 morti dovute all’esposizione a Pm10, Pm2,5, diossina, benzene, idrocarburi poliaromatici e altre sostanze letali. Per non parlare dell’incidenza dei tumori, di netto superiore alla media nazionale e regionali, tra i quali spiccano le neoplasie al polmone, alla vescica e alla prostata.
A Taranto si muore, ma non solo lì. Gli effetti dell’inquinamento ambientale dell’ex Ilva sono tangibili anche a decine di chilometri, fino a quel meraviglioso lembo di territorio circondato dai cristallini mari Adriatico e Jonio che prende il nome di Salento.
Nonostante i tentativi, si sbaglia a pensare che il caso dell’ex Ilva di Taranto riguardi solo quel territorio. Esso è la punta dell’iceberg di un problema che riguarda tutto il Paese, da Nord a Sud, con decine di siti costantemente inquinati e migliaia di cittadini e lavoratori immolati ogni anno in nome del profitto. A cui il libro di Valentina Petrini dà idealmente voce con passione e determinazione.