Il 23 Febbraio 2020 ero appena tornato da un fine settimana a Bucarest con la mia compagna. All’aeroporto di Bergamo mi fece impressione vedere le prime persone che indossavano le mascherine chirurgiche. Come la maggior parte di noi, due giorni prima avevo letto anch’io la notizia del primo caso di Covid registrato a Nembro, nel lodigiano, ma quel week end avevo potuto comunque viaggiare in aereo in Europa, rischiando inconsapevolmente di contagiare o essere contagiato dalle persone con cui ero entrato in contatto.
L’aeroporto di Bergamo, con il suo milione e mezzo di passeggeri che vi transitano ogni mese, sarebbe stato chiuso solo il 14 marzo, a situazione sanitaria ormai precipitata.
A pensarci oggi, e dopo un anno e mezzo vissuto nell’epicentro della pandemia, è come essere stato sfiorato da un’auto scagliata a folle velocità mentre ignaro percorrevo una pista ciclabile.
In quei convulsi giorni di fine Febbraio altre gravi omissioni causeranno lo tsunami pandemico che investirà la Lombardia e poi il resto d’Italia.
Ad Alzano Lombardo, dopo l’individuazione dei primi casi di Covid e la chiusura in forma preventiva del Pronto Soccorso in attesa dell’istituzione del triage, sarà imposta la riapertura immediata dell’Ospedale, trasformandolo ben presto in una bomba epidemiologica.
La colpa più grave sarà, però, la mancata attuazione di una zona rossa nella provincia di Bergamo che porterà 385 mila persone a muoversi indisturbate per lavoro fino al 22 marzo, giorno di entrata in vigore del lockdown nazionale. Scelta tardiva che sarà incrinata successivamente dal sistema di deroghe ai codici Ateco che consentirà a migliaia di imprese di restare aperte a discapito del contenimento del virus Covid 19 e al costo di migliaia di vite umane.
Che cosa è successo in Lombardia nelle settimane concitate dei primi focolai? Quali sono state le omissioni o le pressioni politiche e imprenditoriali per limitare l’istituzione della zona rossa?
Quanto ha inciso la politica scellerata delle giunte leghiste e forziste degli ultimi venti anni volta a demolire la medicina territoriale a favore della sanità privata per creare un sistema che non ha retto ad una prevedibile emergenza sanitaria?
A queste domande risponde il documentatissimo “Il focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale” della giornalista bergamasca Francesca Nava, vincitrice del Premio Estense 2021, la prima inchiesta sulla più grave pandemia degli ultimi decenni che solo nel nostro Paese ha spezzato le vite di più di centotrentamila persone.
Francesca Nava ha raccolto documenti e intervistato esperti per ricostruire una storia che ha visto la prevalenza di certi interessi di categoria, una sanità lottizzata e depauperata e l’inettitudine di una certa classe politica a svolgere il proprio ruolo. A discapito delle numerose vite di cui l’autrice ci offre alcune toccanti testimonianze per mostrarci i volti, i sogni e gli affetti che si celano dietro il freddo bollettino di guerra che purtroppo da mesi scandisce le nostre giornate e che qualcuno, incredibilmente, si ostina a negare.